martedì 30 novembre 1999

L'Estate Empedoclina è passata

L’estate empedoclina è passata, come tutte le altre, tra i soliti piano bar e qualche artista pronto da tempo per la rottamazione.
La novità è lo scontro tra l’arroganza di chi si definisce democratico e chi la democrazia diretta la vuole praticare davvero; tra chi si caricherebbe sulle spalle il rigassificatore per di allocarlo nel martoriato territorio empedoclino fra i sempre più impauriti empedoclini, e chi vorrebbe esprimere la propria opinione attraverso il referendum.
Un pasticciaccio figlio della più totale incapacità di programmazione. Da tempo sostengo che si sarebbe dovuto pubblicizzare l’esistenza dell’area, dopo le opportune scelte fatte dalla politica e dalle parti sociali, secondo le forme di legge previste in guisa da avere più progetti o idee fra i quali scegliere quello migliore per Porto Empedocle.
L’argomento, che infastidisce non poco gli amministratori empedoclini, ha comunque una utilità di ritorno in quanto rappresenta una sorta di “divertissement” che distoglie l’attenzione dei più dallo stato comatoso che avvinghia come una melassa vischiosa, tutti gli aspetti della vita degli empedoclini. Ciò che colpisce è il silenzio della cosiddetta società civile che così facendo diventa complice involontaria dell’inettitudine dei politici.
Mettiamoci in testa che l'individuo è capace di manovrare la sua realtà e che, in fin dei conti, è responsabile della storia come della realtà politica in cui vive laddove invece finge spesso di essere solo testimone e vittima dei politici. Gli empedoclini, ma non solo loro, sono spesso portati a sposare quest’ottica. Nessuno può sentirsi deresponsabilizzato additando “il male”.
Bisogna alzare la testa per vivere degnamente, ricercare il bene e il vero, pretendere discorsi chiari e non accontentarsi dell’eloquio vetero – moroteo del sindaco o dell’ottimismo “panglossiano” del presedente del consiglio.
<<Vi scongiuro fratelli, non mettete la testa nella sabbia, innalzatela! Non siate come cammelli (che sopportano), ma leoni, leoni che ridono (aristocratici e superiori rispetto alle piccolezze della vita)>>.
Già, alzare la testa: alzare la testa significa anche imparare ad avere il piacere ed il coraggio della parola inopportuna senza temere di essere politicamente scorretti.
Guardiamo adesso com’è ridotta la democrazia a Porto Empedocle.
I partiti non esistono più, a fronte di tesseramenti pletorici un corifeo per ogni partito stabilisce la distribuzione degli incarichi di sottogoverno e da autentico “mercante di dolore” illude i disperati in attesa di un posto di lavoro.
Tutto ciò secondo un principio che fa del governo degli individui il governo dei numeri.
Nei giorni che precedono la formazione delle liste elettorali la “ricerca dei numeri”, a Porto Empedocle, è spasmodica, patologica. Il candidato vale in ragione di quanto è numerosa la sua famiglia e non della propria qualità che potrebbe anche essere non adatta all’impegno politico.
Il partito che lo trova se lo coccola cercando di impedire che altri partiti mettano in lista un parente che possa indebolirne la forza elettorale. Alcune famiglie riescono a mantenere unita la forza alternando i giri di giostra (questa legislatura tu la prossima tuo cugino o tuo cognato o…) anche perché ci sono sempre i posti di sottogoverno che possono accontentare chi resta fuori.
Tutto ciò ha provocato, nell’ultimo decennio, un drastico mutamento della classe politica.
Mutamento innanzitutto di ceto sociale che porta seco anche comportamenti poco o punto consoni a quelli che dovrebbe avere una classe politica degna di definirsi tale.
Ogni consiglio comunale, è affermazione comune tra gli empedoclini, fa rimpiangere quello precedente e rivaluta in modo prepotente i consigli comunali della tanto vituperata “Prima Repubblica”. Fare nomi è inutile, ma la differenza socio – culturale è abissale.
Resta il fatto che la buona borghesia empedoclina ha abbandonato l’agone politico e che il consiglio comunale è una turris eburnea nella quale gli empedoclini lasciano i consiglieri liberi di masticare le nuvole facendo strame dei congiuntivi.
I nuovi politici sono i proletari o sotto-proletari di qualche tempo fa che in alcuni casi sono portatori di un senso di rivalsa codificato geneticamente. Per essi la politica è stipendificio e modo di dimostrare di esistere, di entrare, in un certo senso, nel circuito mediatico e di raggiungere l’agognata mobilità lungo la scala sociale; il titolo di studio non rappresenta amore per la cultura ma solo, per dirla con Evola, “certificazione borghese della cultura”.
Sinceramente non riesco ad immaginare un futuro diverso e migliore per Porto Empedocle fino a quando la cultura e l’amore per essa non torneranno a troneggiare nell’agone politico e nella società, oggi costretta a pensare e ad agire come vuole il “sistema” intervenuto prepotentemente a staccarla dalla realtà.
"La cultura è l'alfa e l'omega della politica", così Léopold Sédar Senghor, il cantore della negritudine, motivò la sua decisione di governare la Repubblica del Senegal.
Tutto quanto ho rappresentato non deve essere inteso come mero riferimento all’attuale amministrazione, ma come un continuum  ultra decennale che sembra aver fatto piombare su Porto Empedocle l’aura della irredimibilità che azzera qualsivoglia forma di vita spirituale e riduce l’empedoclino a malinconico spettatore di un degrado sempre più invasivo figlio di una sorta di totalitarismo morbido, ma se possibile ancor più pericoloso, conseguenza del potere dei numeri in mano a  poche persone. L’opposizione non c’è, buona parte di essa per una sorta di divina agnizione ha scoperto che il proprio ruolo deve essere quello di stare con chi governa; quel che resta di essa è totalmente ininfluente. Ciò rappresenta un vulnus alla democrazia il cui prodotto è un paese cloroformizzato nella parte politica come in quella sociale. Un paese senza orgoglio cui non resta che bearsi ricordando i bei tempi andati e le insigni figure che oggi riposano nel nostro ridente camposanto.
Eppure, a pochi chilometri da Porto Empedocle qualcuno ha avuto il coraggio di rompere schemi cementati di cui egli stesso aveva fatto parte e di portare avanti una battaglia verso il nuovo apprezzata e premiata dall’elettorato il quale avrà il compito di giudicare quanto sincera sia stata questa battaglia.
Le elezioni amministrative di un anno fa forse hanno rappresentato l’ultima chiamata per Porto Empedocle.
Firetto avrebbe potuto anticipare l’esperienza agrigentina, ma forse per pigrizia mentale o per la volontà di non mettere nel conto la sconfitta al di sopra di certe probabilità ha voluto continuare a battere sentieri già battuti e limitarsi alla solita operazione cosmetica. Non si è rivolto al popolo ma ai soliti portatori di consensi e con pochi voti di suo è diventato sindaco.
E’ passato un anno ma, con tutta la buona volontà e com’era del tutto ovvio essendo rimasti gli stessi di cinque – dieci anni fa al potere, non si scorge nemmeno il tentativo del cambiamento.
Anche la società civile, continuiamo a chiamarla così, è prigioniera dei propri lamenti e le nicchie di ribellione durano lo spazio di una campagna elettorale.
Ma di che male soffre Porto Empedocle? E se dessimo una risposta di tipo antropologico? Se dicessimo cioè che Porto Empedocle è ridotta così perché, salvo qualche eccezione, la parte migliore di essa, parafrasando Edgar Lee Masters, dorme, dorme sull’altipiano?

Adolfo Montagna

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