martedì 30 novembre 1999

Rigassificatore a Porto Empedocle



Prima delle ore 12,37 del 10 luglio 1976 c’era Seveso e non c’era la “legge Seveso”.Poi, d’improvviso, la diossina, maledetta, riuscì a farsi beffa di tutti i sistemi di sicurezza dello stabilimento ICMESA, della vicina Meda, e avvinghiò, impalpabile ma terribile, undici comuni.
Fu paura di morte e di malattie; da allora le dinamiche sociali di Seveso sono cambiate in modo radicale e Seveso stesso è diventato un sorvegliato speciale dalla scienza internazionale, trasformato in una sorta di laboratorio vivente ove ancora oggi si studiano gli effetti a lungo termine della nube maledetta.Dopo le 12,37 del 10 luglio 1976 è nata la “direttiva Seveso”, adottata dall’Unione Europea per prevenire i grandi rischi industriali. Poi fu la volta della “Seveso II”, che ampliò il campo di applicazione della “Direttiva Seveso”.Sembrava che con la “legge Seveso” i rischi connessi alle attività industriali fossero stati scongiurati, ma non fu così.Dopo, nonostante la “Seveso”, ci fu l’incidente in una fabbrica di fertilizzanti di Tolosa e lo scoppio in un’azienda di materiale pirotecnico in Olanda.Uomo, tecnica, legge, nonostante quest’ultima non possa fare nulla di fronte al cattivo funzionamento di una macchina o di fronte ad un errore umano si cerca in essa la panacea alle nostra paure, ataviche e recenti.Ecco quindi la “Seveso ter” alle cui prescrizioni sulla sicurezza dovrebbe ottemperare il rigassificatore di Porto Empedocle, se mai sarà costruito.E se un giorno, Dio non voglia, dovessero approvare la “legge Porto Empedocle”?Porto Empedocle è una sorta di Giano bifronte. Da un canto abbiamo un processo, in atto da tempo, per cui una gran parte della società, a causa della realtà materiale che la circonda, obbligata a straniarsi dalla propria coscienza, si identifica e diventa strumento passivo di una oligarchia politica arrogante e proterva; dall’altro canto abbiamo i luoghi fisici che rendono il paese ameno nonostante le unghiate della mala politica. Il mare, la sabbia, il cielo con lo spettacolo delle rondini con i loro pazzi voli primaverili  e poi le nubi invernali sempre le stesse per chi le guarda ed ha imparato a conoscerle e a riconoscerle. Prezzolini diceva che chi non conosce le nuvole del proprio paese non conosce nemmeno il paese. Ma Porto Empedocle è anche Agrigento con l’inarrivabile bellezza del suo patrimonio archeologico e con i suoi abitanti che preferiscono la sicurezza rispetto ad opere la cui utilità è tutta da verificare.Ai soloni della politica empedoclina, quelli che il rigassificatore lo vogliono, tutto ciò non interessa; si sentono tutelati dalla “legge Seveso” e da autentici legulei, appigliandosi a qualche cavillo statutario e misconoscendo l’opportunità politica, negano agli empedoclini di potersi esprimere attraverso un referendum e parlano di impazzimento della politica quando sentono un assessore della Giunta Zambuto affermare che ad Agrigento il referendum si farà.Eppure lo stabilimento ICMESA dal quale si sprigionò la diossina maledetta si trovava a Meda, paesino confinante, e investì, l’ho già detto, undici paesi contermini.Due parole voglio spendere sull’area ASI: se le politica di questi ultimi quindici anni fosse stata meno autoreferenziale, se avesse avuto chiaro che solo da quell’area può venire la rinascita di Porto Empedocle, avrebbe potuto, dopo le opportune scelte locali e attraverso i mezzi che la legge prevede, pubblicizzare l’esistenza dell’area in questione in guisa da poter avere la possibilità di scegliere il progetto più confacente all’interesse empedoclino, sia in termini di occupazione che di indotto. Invece si è navigato e si continua a navigare a vista.
Ma attenzione ai voli pindarici di una classe politica che fatto salvo qualche spostamento di pedine, è quella che ha alle spalle un decennio di fallimenti.


Adolfo Montagna

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